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riassunti splendidi di Crouch e della monografia di Castel

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2008 20:54
OFFLINE
Post: 40
Città: CASTELFIDARDO
Età: 35
Sesso: Femminile
08/01/2008 17:24

Siddisti, cercando e ricercando, alla fine sono riuscita a trovare dei riassunti fatti con i contro coglioni sia di "Postdemocrazia" che della monografia "L'insicurezza sociale"....io ve li metto qui...non si sa mai se possano servire...baciiiii


POSTDEMOCRAZIA (C. CROUCH)

“Anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall'integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici" (p. 6). Questo è il modello di quella 'sindrome' che Colin Crouch definisce 'postdemocrazia'. La tesi di questo volume è che i regimi rappresentativi esibiscono attualmente una tendenza a trasformarsi in postdemocrazie, percorrendo il ramo discendente di una parabola che ha toccato il suo vertice nella seconda metà del secolo XX, epoca di massima affermazione delle politiche egualitarie. Il tema della crisi della democrazia nell'epoca della retorica globale dei sistemi elettivi/rappresentativi - un topos della recente discussione politologica - è affrontato a partire da una critica della concezione liberale-elitista della democrazia che ha il merito di non indulgere in comode scorciatoie normativistiche (come viceversa avviene in molta teorizzazione contemporanea della democrazia deliberativa).
Nel delineare i tratti della postdemocrazia Crouch muove da un'analisi dell'azienda globale "istituzione chiave del mondo postdemocratico". Essa si presenta con i tratti di un'apparente leggerezza. Acquisizioni, fusioni e ristrutturazioni mutano di frequente la stessa identità dell'azienda, mentre le 'nuove' e 'flessibili' forme contrattuali rendono la forza-lavoro sempre più frantumata e dispersa. La stessa esistenza di un core business è vista come un elemento di rigidità: l'azienda tende a concentrarsi sulla gestione della finanza e su quella del logo. Ma Crouch critica radicalmente le interpretazioni che vedono nell'"azienda fantasma" un'istituzione debole, il sintomo della dissoluzione del capitale e del superamento della divisione in classi. Al contrario, questa "capacità di decostruzione è la forma più estrema assunta dal predominio dell'azienda nella società contemporanea" (p. 49). E l'azienda diviene infatti il modello istituzionale anche per il settore pubblico. Si avvia la ristrutturazione degli enti pubblici per renderli più attraenti ai finanziatori privati, mentre l'esternalizzazione da parte dei governi alle imprese di un ingente ambito delle loro attività si traduce in un rapporto più stretto fra potere economico e organi pubblici e nell'aumento del potere politico delle lobby.
Se una delle principali preoccupazioni della teoria economica di Adam Smith era quella di rendere indipendenti e svincolare il mondo politico e l' impresa privata, oggi si assiste al "ritorno dei privilegi politici corporativi coperti dagli slogan del mercato e della libera concorrenza" (p. 59). L'azienda globale gode dell'esonero fiscale, allo stesso modo della nobiltà e del clero nell'ancien régime. "Oggi [...] a causa della crescente dipendenza dei governi dalle competenze e dai pareri di dirigenti delle multinazionali e grandi imprenditori e della dipendenza dei partiti dai loro finanziamenti, andiamo verso la formazione di una nuova classe dominante, politica ed economica, i cui componenti hanno non solo potere e ricchezza in aumento per loro conto via via che le società diventano sempre più diseguali, ma hanno anche acquisito il ruolo politico privilegiato che ha sempre contraddistinto l'autentica classe dominante. Questo è il fattore centrale di crisi della democrazia all'alba del XXI secolo" (p. 60).
In questo quadro l'"assioma politico contemporaneo della sparizione della classe sociale", più che una diagnosi fondata, è un "sintomo della postdemocrazia". Accanto al declino della classe operaia - da classe del futuro a soggetto di politiche di retroguardia - emerge l'incoerenza delle altre classi, la loro mancanza di autonomia e la loro debolezza rispetto alla manipolazione postdemocratica. La politica dei nuovi riformisti si incentra sulla costruzione di un modello di partito adeguato per la postdemocrazia, un 'partito per tutti' che abbandona la sua base tradizionale. "Ma per un partito non avere una base definita significa esistere nel vuoto. È qualcosa che la natura politica aborre e i nuovi interessi delle grandi aziende, incarnati nel nuovo modello aggressivo e flessibile dell'azienda che massimizza i dividendi degli azionisti, hanno spinto per riempirlo" (p. 73). D'altra parte nessuno ha trovato la formula per rappresentare gli interessi dei lavoratori subordinati postindustriali. Mentre "un programma potenzialmente radicale e democratico rimane lettera morta" si assiste all'affermazione di partiti nazionalisti, xenofobi o razzisti, che nel vuoto politico propongono identità nette senza compromessi.
Il tradizionale modello politologico che vedeva i partiti di massa costruiti in una serie di cerchi concentrici (dirigenti, parlamentari, militanti e amministratori locali, via via fino ai tesserati ordinari, sostenitori e ai semplici elettori) viene superato. Si stabilisce un legame diretto fra i dirigenti centrali e gli elettori. E soprattutto si assiste alla trasformazione del primo cerchio in un'ellisse che include le élite dei lobbysti e dei consulenti. "Se ci basiamo sulle tendenze recenti, il classico partito del XXI secolo sarà formato da una élite interna che si autoriproduce, lontana dalla sua base nel movimento di massa, ma ben inserita in mezzo a un certo numero di grandi aziende, che in cambio finanzieranno l'appalto di sondaggi d'opinione, consulenze esterne e raccolta di voti, a patto di essere ben viste dal partito quando questo sarà al governo" (p. 84).
La postdemocrazia si traduce in un processo di "commercializzazione della cittadinanza" che stravolge lo schema elaborato da T.H. Marshall. Una serie di servizi che costituivano dei diritti garantiti dallo status di cittadini vengono messi sul mercato e gestiti con logica commerciale, anche a prescindere dalla proprietà, pubblica o privata, delle agenzie che li erogano. Un colossale progetto globale di smantellamento del welfare state passa attraverso l'individuazione di successive aree da aprire al mercato ed alla privatizzazione: il WTO è stato istituito precisamente per questo scopo. Crouch rileva che la trasformazione del mercato da strumento a principio assoluto, la trasformazione in merce di ogni bene e servizio, produce effetti perversi anche sul piano strettamente economico. E il fatto che il pubblico si occupi di erogare servizi solo per quella parte residuale degli utenti che non interessa al mercato finisce per degradarne la qualità e di fatto per escludere gli utenti dalla cittadinanza. Questo processo non sarà compiuto "fintanto che la fornitura dell'istruzione, dei servizi sanitari e degli altri servizi tipici del welfare state non saranno subappaltati a estese catene di fornitori privati, così che il governo non sia più responsabile della loro produzione di quanto la Nike lo sia delle scarpe su cui mette il marchio" (p. 116). Ma già oggi l'ideologia del mercato si traduce nell'affermazione di un modello giacobino che concentra il potere politico al centro senza livelli intermedi di azione politica. Mentre i cittadini perdono potere il processo elettorale democratico si avvicina "a una campagna di marketing basata abbastanza apertamente sulle tecniche di manipolazione usate per vendere prodotti" (p. 116).
La principale causa del declino della democrazia risiede insomma per Crouch nel "forte squilibrio in via di sviluppo tra il ruolo degli interessi delle grandi aziende e quelli di tutti gli altri gruppi" (p. 116). Crouch ipotizza alcune misure per contrastare questo processo, senza indulgere nell'utopia: l'abolizione del capitalismo rimane un sogno, il suo 'dinamismo' e il suo 'spirito intraprendente' sono una risorsa irrinunciabile. Ma è possibile trovare una nuova forma di compromesso della democrazia con gli interessi delle aziende multinazionali così come in passato si sono trovate altre forme di compromesso con le industrie nazionali, e ancor prima con il potere militare e con le Chiese. Questo sarà possibile, fra l'altro, se i cittadini eserciteranno una pressione non solo attraverso i partiti ma sui partiti. In altri termini occorre rovesciare la tendenza dei partiti a "incoraggiare il massimo livello di minima partecipazione" (p. 126). Quelle in cui aderisce ad alcune proposte istituzionali di Philippe Schmitter non sono forse le migliori pagine del libro di Crouch. Assai più interessante è l'affermazione che occorre "invertire la prospettiva consueta adottata dal mondo politico su cosa sia democrazia e cosa la sua negazione" (p. 131). Il sistema dei partiti mostra in genere scarso allarme per le pressioni degli interessi economici, mentre insiste sui rischi di antidemocraticità dei nuovi movimenti che si affermano di volta in volta sulla scena. Le "nuove creatività dirompenti all'interno del demos" (p. 130) sono invece un antidoto alla postdemocrazia e possono permettere di reindirizzare il malcontento dagli obiettivi e dai capri espiatori dei movimenti reazionari verso le vere cause dei problemi. Per Crouch "c'è bisogno di un mercato aperto dove concorrere a definire identità politiche, che rimanga all'esterno, ma ancora abbastanza vicino, all'arena oligopolistica dei partiti esistenti. [...] La politica democratica dunque ha bisogno di un contesto dove i vari gruppi e movimenti facciano sentire le proprie voci in modo energico, caotico e chiassoso: sono loro il vivaio della futura vitalità democratica" (p. 135). In altri termini, non c'è da scandalizzasi per il conflitto sociale.
Come si vede, la diagnosi di Crouch sulla democrazia integra gli strumenti della scienza politica con quelli della sociologia; l'analisi della struttura economica ha un ruolo centrale, che non scontenterebbe un marxista impenitente. La nozione di 'postdemocarzia' si allarga, al di là dei meccanismi politico-elettorali e delle strutture istituzionali, a connotare un processo sociale complessivo, un po' come avveniva per il termine 'democrazia' nella classica visione di Tocqueville. L'analisi teorica si incontra con la discussione della storia recente e dell'attualità politica, a partire da una conoscenza diretta soprattutto della Gran Bretagna del New Labour. Non c'è che sperare che gli spunti analitici e prognostici, così ricchi in questo breve volume, siano ripresi e sviluppati in un quadro più articolato, che mantenga la stretta interrelazione fra politologia, teoria sociale, scienza economica, magari ampliando lo sguardo a questioni come l'evoluzione dei media, le trasformazioni del diritto, il nuovo ruolo del fondamentalismo e del conservatorismo religioso e, non ultimo, gli scenari della guerra globale. Quella della postdemocrazia è una sindrome che esprime gravi patologie sociali: di fronte ad essa c'è da sperare nei processi e nei conflitti sociali, ma c'è anche un grande bisogno di teoria.





L’INSICUREZZA SOCIALE (R. CASTEL)

CAP. I

Storicamente, le prime forme di sicurezza erano garantite dalle protezioni ravvicinate n(legami garantiti dalla famiglia, dal gruppo di prossimità, dall'appartenenza alla comunità). Nelle città medievali nascono sistemi di protezioni (e costrizioni) tra appartenenti a gruppi di mestiere (gilde, corporazioni) che garantiscono sicurezza a prezzo di una certa dipendenza (e interdipendenza); l'insicurezza è percepita come minaccia esterna al gruppo.
Con la modernità, l'individuo viene riconosciuto per se stesso e non in quanto
appartenente a un collettivo determinato (per Hobbes: una società di individui
abbandonati a se stessi), nella possibilità di realizzare una società di insicurezza
totale, il bisogno di essere protetti è visto da Hobbes nell'esistenza di uno Stato
assoluto: se estremo, il potere è buono poiché utile alla protezione, ed è nella
protezione che risiede la sicurezza. Monopolizzando i poteri politici lo Stato libererebbe gli individui dalla paura permettendo di esistere liberamente nella sfera
privata (garanzia della pace civile). Inoltre Hobbes per primo percepisce la necessità diuna protezione sociale, tramite leggi dello Stato, a garanzia delle
persone inabilitate a "mantenersi col proprio lavoro". Hobbes colloca molto in alto il prezzo da pagare per una costruzione di protezioni, lo Stato assoluto.
Locke, in una visione liberale, propone che lo stato intervenga limitandosi a tutelare la proprietà, la libertà e la persona: è la proprietà ciò che protegge,
ovvero l'insieme di risorse che permette ad un individuo di non dipendere da un padrone o dalla carità. La difesa di tutto questo è il fine per cui gli uomini si uniscono in Stato che garantisca rappresentanza democratica. Questo tipo di stato viene definito stato minimo (non si occupa di diritti sociali) o anche stato gendarme (l'uso della forza pubblica deve proteggere la proprietà privata). La stessa Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino colloca la proprietà fra i diritti "inalienabili e sacri"; anche i rivoluzionari più radicali come Rousseau e Robespierre difendono la proprietà privata, seppur con l'intento di restringerla rendendola accessibile a tutti i cittadini.
La proprietà diviene l'istituzione sociale per eccellenza, con la funzione di
salvaguardare l'indipendenza degli individui e assicurarli contro i rischi dell'esistenza.
Tuttavia l'evoluzione dello stato verso la democrazia è in contraddizione con il
paradigma di Hobbes, per cui solo lo stato assoluto è in grado di garantire la sicurezza: uno stato di diritto invece offre garanzie e tutele anche a chi viola
le leggi, mentre la sensazione di insicurezza aumenta fino ai giorni nostri per il venir meno delle protezioni di prossimità. Il paradosso della nostra società consiste nell'essere sempre più vincolata dai diritti dell'individuo, mentre contemporaneamente l'individuo vorrebbe che la sua sicurezza fosse garantita nei dettagli della vita quotidiana e rassicurata dalla presenza continua di forze dell'ordine stanziate - irrealisticamente - quasi ovunque.
Mentre il legalismo si rinforza, anche la domanda di protezione cresce, creando una
frustrazione sempre maggiore, soprattutto ai giorni nostri col pericolo di comprimere le libertà pubbliche in nome della "guerra contro il terrorismo".

CAP. II

Il senso di insicurezza - sociale e civile - di contro ha sempre percorso la storia della gran parte delle classi popolari: ovvero gli individui non proprietari, la parte più numerosa dei cittadini. Chi aveva solo il proprio lavoro per sopravvivere era esposto al rischio continuo di trovarsi senza lavoro e quindi senza risorse, per
infortunio, per l'età, per disoccupazione etc.
Questa questione non è stata minimamente presa in considerazione nella
costruzione dello stato liberale, relegandola ai margini della politica, o rifiutandola
del tutto.
Questo è il lato oscuro dello stato di diritto: la scissione tra proprietari e non
proprietari si traduce in una scissione tra soggetti di diritto e soggetti non di
diritto. Lo stato non dà risposta alla domanda di Hobbes: come proteggere tutti i membri di una società? Secondo Marx, se per diritto non si intende anche il
diritto di vivere nella sicurezza civile e sociale, il diritto è solo formale.

L'attribuzione di protezione sociale si è quindi articolata in due direzioni: • fissare delle protezioni e diritti forti al lavoratore, • costruire un nuovo tipo di proprietà: la proprietà sociale (concepita per la sicurezza dei non proprietari). Il lavoro, da relazione puramente commerciale, diviene impiego: condizione dotata di uno
statuto che include garanzie (protezioni, coperture previdenziali); il lavoratore dalla
condizione precaria passa alla condzione salariale, disponendo di risorse e garanzie per il futuro. La società salariale si realizza in Europa occidentale dopo
la II guerra mondiale.
Questo processo viene accompagnato dal massivo accesso alla proprietà sociale, un omologo della proprietà privata messa a disposizione di coloro che ne erano
esclusi, una proprietà per la sicurezza.
La pensione, come diritto costituito a partire dal lavoro, permette al lavoratore anziano di evitare il declino e l'indigenza, a partire dalla socializzazione del salario: una parte del salario torna indietro a beneficio del lavoratore (salario indiretto: una forma di proprietà socializzata, inizialmente riservata ai lavoratori più
poveri, all'inizio del xx secolo, durante il quale il lavoro salariato si estende
dall'operaio alle diverse categorie).
Il ruolo sociale dello stato è centrale nella realizzazione di questi dispositivi, si
parla di Stato come riduttore di rischi, grazie anche allo sviluppo dei servizi pubblici
sottratti al gioco del mercato.
La società salariale, pur mantenendo le disparità e ineguaglianze tra categorie,
attraverso la negoziazione conflittuale tra partner sociali è pervenuta a una grande
miglioramento delle condizioni di tutte le categorie salariali. Quindi, non una società
di uguali, ma una società di simili, differenziata e gerarchizzata, con relazioni di
interdipendenza. Lo Stato è garante di questa condizione; con un ruolo redistributivo minimo (piccole pensioni per piccoli salari) ma protettivo enorme, come riduttore di rischi sociali.
Condizione essenziale a questo mutamento è la crescita.
Tra gli anni '50 e gli anni '70 si è assistito al triplicarsi di produttività, consumi,
redditi salariali. La crescita ha determinato che, nella negoziazione tra partner
sociali, ogni gruppo si aspettasse di poter guadagnare di più nel prossimo futuro,
generando conflittualità ma anche aspettative positive che riducevano la frustrazione. Le aspettative erano inerenti alla capacità di padroneggiare il futuro,
pianificare l'acquisto della propria casa, gli studi dei figli. Il periodo di crescita economica è momento di crescita forte dello Stato, che elabora compromessi tra i
vari partner della crescita.
La crisi di questa dinamica oggi porta a far riemergere l'insicurezza sociale.

Gli individui riscoprono i collettivi di protezione, che hanno potere contrattuale forte
col datore di lavoro (o coi collettivi dei datori di lavoro): i sindacati; il diritto del
lavoro e la protezione sociale sono sistemi di regolazione collettiva: i diritti sono
definiti in funzione dell'appartenenza a insiemi, a gruppi; inoltre spesso i diritti
discendono da conflitti tra gruppi con interessi divergenti.
L'individuo è protetto in base a queste appartenenze (collettivi di lavoro, collettivi
sindacali): l'istanza del collettivo può rendere sicuro l'individuo.
I processi di liberalizzazione di oggi mettono in crisi questi collettivi, indebolendoli,
prefigurando un riemergere massiccio dell'insicurezza sociale.

CAP. III

La trasformazione occidentale degli ultimi 25 anni si può definire crisi della modernità organizzata.
Le regolazioni collettive si basano sul peso della grande industria, dei grandi
sindacati, sull'organizzazione standardizzata del lavoro, in una dinamica gestita dallostato-nazione. Lo stato e le categorie professionali si sfaldano a partire dagli anni '70.
La mondializzazione degli scambi rende lo stato nazionale inadeguato a mantenere
l'equilibrio sociale; la concorrenza internazionale mette l'impresa al centro del
sistema, non più lo stato, che appare portatore di un pesante aumento di costo e di
vincoli legali imposti alle imprese, alla ricerca della massima competitività sul mercato globale a qualsiasi costo sociale. La conseguenza è la ricerca di abbassare la pressione dei salari e degli oneri sociali, oltre all'impatto delle
regolamentazioni sulla struttura del lavoro. Inoltre entra in crisi l'altro pilastro: la difesa degli interessi dei salariati attraverso organizzazioni collettive. La precarizzazione, la disoccupazione diffusa colpiscono gli strati inferiori della gerarchia salariale, ma creando anche disparità tra lavoratori con stesso livello di qualifica (licenziabili o meno), creando anche una forte concorrenza tra uguali. La gestione del mondo del lavoro è ora fluida e individualizzata, prevede mobilità, adattabilità, flessibilità ed intercambiabilità; i percorsi professionali diventano mobili. Il lavoratore è sovraesposto ed indebolito perché non più supportato da sistemi di regolazione collettiva, sotto la minaccia permanente della
disoccupazione. Solo alcune categorie beneficiano di questo aggiornamento
individualistico, esprimendo al meglio le proprie potenzialità.
Le conseguenze di questo degrado sono: la desocializzazione degli individui, una
disgregazione del legame tra gli individui e con l'appartenenza sociale, per lasciarli di fronte a se stessi e alla loro inutilità; la decollettivizzazione è legata a una
situazione di mobilità sociale discendente, di esclusione, di insicurezza che priva anche di un sentimento della dimensione collettiva di gruppo in declino.
Questa sensazione di non contare nulla porta al qualunquismo, al risentimento, al
sentimento di ingiustizia, alla frustrazione collettiva che possono portare ad attribuire la responsabilità della sventura a categorie vicine nella scala sociale
che trarrebbero benefici dalla situazione: anche al razzismo.
Diplomi professionali che un tempo garantivano l'impiego, ora sono screditati, portando la dequalificazione di massa. La flessibilità nelle imprese non è stata
accompagnata da un'adeguata riqualificazione degli operatori. Esistono frange della popolazione convinte di essere ormai state lasciate ai margini del percorso, incapaci di controllare il proprio futuro, le quali sviluppano valori rivolti al passato piuttosto che all'incerto futuro, rifiutando la novità e le differenze, magari cercando in esse il capro espiatorio che paghi per la loro sensazione di abbandono, fino al razzismo verso l'immigrato, preferito nella corsa al posto di lavoro e magari titolare di assistenza sociale di cui l'autoctono si sente "usurpato". L'odio e il disprezzo razzista attribuiscono una superiorità, nella periferia degradata
ed esposta a pratiche delinquenziali diffuse. Questa situazione sposta la conflittualità sociale, dirigendola verso le classi pericolose, per cristallizzare sui
gruppi particolari ed emarginati, tutte le minacce veicolate dalla società.
Com'era per il proletariato industriale nel XIX secolo: classi lavoratrici, classi
pericolose, che inurbate e precarie, si accampavano nel cuore della società occidentale senza esservi accasate. Così oggi, con popolazioni portatrici di
culture d'origine straniere, discriminate nella ricerca di casa e lavoro, osteggiate da polizia e popolazione autoctona. Fare di qualche migliaia di giovani, più poveri
che cattivi, il nocciolo della questione sociale significa operare una distorsiva
condensazione della problematica dell'insicurezza.
La repressione dei reati, la tolleranza zero, sono cortocircuiti semplificativi che
permettono di non farsi carico dei problemi complessi legati a disoccupazione, razzismo, disuguaglianze sociali, restaurando lo stato gendarme che scinde
sicurezza civile da sicurezza sociale, ovvero tenta l'impossibile.

CAP. IV

L'erosione dei sistemi di protezione delle società salariate, a partire dagli anni '80,
ha determinato una maggiore vulnerabilità e smarrimento, con un aumento della percezione dei rischi sociali a partire dalle periferie. Inoltre è emersa una
nuova generazione di rischi percepiti come tali: minacce industriali, tecnologiche,
sanitarie, ecologiche, come conseguenze dello sviluppo incontrollato di scienza e tecnologia volte al dominio dell'ambiente. Non è più il progresso sociale ma un principio generale di incertezza che governa l'avvenire della civiltà, che appare come l'unico angosciante orizzonte possibile. Questo contribuisce profondamente ad alimentare il senso di insicurezza e di impotenza,
gettando le basi per una condizione di frustrazione perenne e diffusa.
La società del rischio, in cui l'assicurazione contro questo rischio era progressivamente passata allo Stato, si trova a gestire un tipo di rischio con parametri imprevedibili e di portata gravissima. Minacce portate dall'uomo e dalla modernità.
Tuttavia nessuna società potrebbe eliminare tutti i pericoli, mentre siamo sempre più sensibili alle nuove minacce proprio perché i rischi più forti del passato sembrano scongiurati, sposatndo in alto la sensibilità collettiva al rischio. La
cultura del rischio in questo modo "fabbrica" i pericoli; considerando che il più
grande rischio per l'umanità è sempre stato la fame, il mondo occidentale è il meno esposto a rischi di ogni epoca; mentre i rischi globali derivanti da inquinamento e degrado vengono "decentrati" al di fuori di questo mondo, contaminando la parte più povera del pianeta. Anche se in questo caso non è giusto parlare di rischi ma di veri e oggettivi pericoli, danni. Inoltre l'individualizzazione dei rischi comporta una sempre maggiore privatizzazione
delle assicurazioni e una distinzione tra "rischiofili" e "rischiofobi"; l'individuo ha
il compito di assicurarsi da solo ed il governo dei rischi non è più un'azione
collettiva.
Tuttavia la mondializzazione in atto non permette di tornare indietro, alle regolazioni collettive precedenti, mentre le protezioni collettive assicurate dallo
stato sociale hanno paradossalmente agito come fattori di individualizzazione nel
momento in cui l'individuo si è trovato "liberato" dal bisogno di rivolgersi alle
comunità intermedie, trovando un interlocutore privilegiato e diretto nello Stato stesso.
Quando queste protezioni si incrinano, l'uomo diventa fragile ed esigente: il bisogno di protezione è diventato parte della natura sociale dell'uomo
contemporaneo.

CAP. V

Vi sono due settori da considerare: la protezione sociale propriamente detta (anche detta previdenza sociale)e la sicurezza delle condizioni di lavoro.
A partire dagli anni '80, politiche di inserimento e lotta contro le esclusioni hanno
affiancato la previdenza sociale, che resta legata al lavoro (assicurazioni, contributi).
Essa corrisponde a quanto viene definito protezione sociale, in alcuni paesi; protezione in crisi finanziaria a causa della disoccupazione di massa, della
precarizzazione del lavoro, della riduzione di popolazione attiva e all'allungamento della speranza di vita; inoltre il sistema è incapace di prendere in carico chi è in rottura col mondo del lavoro (per disoccupazione o precarietà, o lavoro nero), rischiando il distacco da una fascia di popolazione o la distanza da chi non riesce ad inserirsi nel circuito di protezione.
Un nuovo regime di protezione sociale esiste ai margini del sistema: minimi sociali,
politiche locali di inserimento, sviluppo di aiuto all'impiego e di soccorso ai
deprivati, lotta contro l'esclusione; si caratterizzano per essere lontani dalle
prestazioni legate al lavoro, decentralizzazione e territorializzazione, flessibilità
nelle protezioni, diversificazione, individualizzazione. Il salario minimo d'inserimento è legato al contratto di "inserimento" con cui l'individuo si impegna alla realizzazione di un progetto.
Queste trasformazioni tendono all'individualizzazione delle protezioni e ad una
attivazione delle persone coinvolte, che cessano di essere soggetti che fruiscono
passivamente delle prestazioni sociali. Così si risponde anche alla crisi dello stato
sociale centralizzato, che amministra regole universali ed anonime. Di fatto ci si richiama alle risorse dell'individuo per aiutarlo nella realizzazione del suo progetto personale, ma si sottovaluta quanto spesso si tratti di individui che mancano appunto di risorse, finendo per chiedere molto a chi ha poco, e meno a chi ha
molto. Le statistiche indicano come il reddito minimo d'inserimento (Rmi, si riferisce
alla Francia) raggiunga la meta di un inserimento professionale (stabile o più spesso precario) solo nel 10-15% dei casi, finendo per essere nella maggior
parte dei casi solo una "boccata d'ossigeno", così come le politiche di inserimento
territoriale. Questi tipi di aiuto non possono certo sostituire le protezioni precedentemente elaborate contro i rischi sociali, a meno che non si riduca la protezione sociale a un aiuto di mediocre qualità, limitato ai più deprivati.
Negli ultimi anni c'è stata una degradazione della concezione della solidarietà, in cui
condizione per essere protetto significa essere dotato solo del minimo di risorse
necessarie per sopravvivere in una società che si limita a fornire un servizio minimo contro le forme estreme della deprivazione.
Rinunciando a proteggere collettivamente l'insieme dei cittadini contro i principali
rischi sociali. La risposta alla frammentazione delle nuove misure degli ultimi
vent'anni, dovrebbe essere una riforma che garantisca una continuità di diritti, portando un regime omogeneo di diritti. Inoltre bisogna ripensare il sistema di sussidi, ovvero diritti concessi in ragione di una inferiorità, che la legalizzano, mentre bisognerebbe porsi come obiettivo l'inserimento sociale e professionale delle persone in difficoltà, con adeguate politiche territoriali e riconoscimento sociale.

Ovvero reinserire le collettività composte da individui che non riescono a iscriversi
nelle protezioni assicurate dal lavoro o che da tali protezioni si sono distaccati,
attraverso collettivi d'inserimento come agenzie pubbliche con poteri decisionali volte all'aiuto all'impiego e alla lotta contro segregazione ed esclusione, a
livello locale.
Inoltre va considerata la disparità di poteri tra chi è nel bisogno e non ha potere di
negoziazione con chi dispensa le protezioni; il diritto quindi si contrappone al
paternalismo o alla filantropia di chi pretende di misurare chi meriti davvero di essere aiutato. Un diritto in quanto tale è rivendicabile: non si negozia, si
rispetta. La protezione sociale non può essere soltanto la concessione di sussidi
per evitare il totale degrado di chi è già deprivato; è invece la condizione basilare
affinché tutti possano appartenere ad una società di simili.
L'altro aspetto della sicurezza è relativo alle condizioni di lavoro ed ai percorsi
professionali. In presenza della disgregazione del legame tra diritti del lavoro e
protezione, oltre che dell'emergere del precariato diffuso, della disoccupazione, della necessità di cambiare lavoro e riqualificarsi più volte nel corso
dell'esistenza, ovvero della perdita di consistenza da parte del lavoro, l'incertezza e la discontinuità pesano creando insicurezza. L'insicurezza del lavoro è tornata ad essere ciò che era prima della società salariale: la grande apportatrice di incertezza per i membri della società. Dallo statuto dell'impiego lontano da fluttuazioni di mercato e cambiamenti tecnologici si passa oggi alla frammentazione degli impieghi attraverso i contratti "atipici" e la flessibilizzazione delle mansioni lavorative: telelavoro, part-time, subappalto, lavoro in rete.
Una risposta a queste situazioni, debolmente coperte dal diritto, consiste nel trasferire i diritti di statuto dell'impiego alla persona del lavoratore,
ristabilendo la continuità dei diritti attraverso la discontinuità dei percorsi professionali. Uno stato profesionale che non è più definito dall'esercizio di una professione ma che ingloba le diverse forme di lavoro che ogni persona può svolgere durante la sua esistenza.
Bisognerebbe quindi definire: come coprire i costi di una formazione continua (e di
periodi prevedibili di disoccupazione temporanea), quale ruolo deve avere lo Stato, se ristrutturare completamente tutte le protezioni legate al lavoro o solo
quelle relative alle zone mal coperte, come organizzare le transizioni, come regolare il diritto alla formazione dei lavoratori (in Danimarca si parla di learnfare:
assistenza tramite la formazione, contrapposto al workfare inglese), come conciliare mobilità e protezioni dotando il lavoratore mobile di un vero statuto.
Lo stesso management capitalista deve rendersi conto dell'importanza del capitale umano, di come l'esigenza di flessibilità e professionalizzazione multipla
debba corrispondere a una maggior sicurezza del singolo, degli effetti controproducenti del burn out dei lavoratori, di come per ragioni demografiche il rapporto di forza sfavorevole ai lavoratori degli ultimi vent'anni possa mutare e determinare una condizione diversa.




Andy Warhol: I wonder if people are going to remember us?
Edie Sedgwick: What, when we're dead?
Andy Warhol: Yeah.
Edie Sedgwick: Well I think people will talk about how you changed the world.
Andy Warhol: I wonder what they'll say about you... in your obituary. I like that word.
Edie Sedgwick: Nothing nice, I don't think.
Andy Warhol: No no, come on. They'd say, "Edith Minturn Sedgwick: beautiful artist and actress...
Edie Sedgwick: ...and all around loon.
Andy Warhol: ...Remembered for setting the world on fire...
Edie Sedgwick: ...and escaping the clutches of her terrifying family...
Andy Warhol: ...Made friends with everybody, and anybody...
Edie Sedgwick: ...creating chaos and uproar wherever she went. Divorced as many times as she married, she leaves only good wishes behind."
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Sesso: Maschile
08/01/2008 17:31

Cecilia sembra che tu ti voglia mettere da subito in evidenza eh..Non male come inizio, davvero non male..
[Modificato da il Berton 08/01/2008 17:32]
il bertòn
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Età: 36
Sesso: Maschile
08/01/2008 17:35

cecilia ti amo,sei la mia salvezza!!

davide,riesci a fare un copia ed incolla veloce e metterli anke sul blog?? visto che cmq molti li scaricano da lì!
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Rycky lo spamMod

"I video giochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se pac-man avesse influenzato la nostra generazione, staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva" (K.Wilson, Nintendo Inc,1989.)
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08/01/2008 17:36

non sarò un genio, ma se ci diamo tutti una mano conviene,no? [SM=g6804]
baci e spero siano di vostro gradimento....
Andy Warhol: I wonder if people are going to remember us?
Edie Sedgwick: What, when we're dead?
Andy Warhol: Yeah.
Edie Sedgwick: Well I think people will talk about how you changed the world.
Andy Warhol: I wonder what they'll say about you... in your obituary. I like that word.
Edie Sedgwick: Nothing nice, I don't think.
Andy Warhol: No no, come on. They'd say, "Edith Minturn Sedgwick: beautiful artist and actress...
Edie Sedgwick: ...and all around loon.
Andy Warhol: ...Remembered for setting the world on fire...
Edie Sedgwick: ...and escaping the clutches of her terrifying family...
Andy Warhol: ...Made friends with everybody, and anybody...
Edie Sedgwick: ...creating chaos and uproar wherever she went. Divorced as many times as she married, she leaves only good wishes behind."
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08/01/2008 18:25

Si si può fare..per domani però, altrimenti adesso li potrei mettere solo come commento sotto quello grosso di Crouch..
p.s:non male Cecilia come foto
il bertòn
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08/01/2008 18:51

COMPLIMENTI
vorrei aggiungere i miei complimenti alla ragazza di castelfidardo (che se non ho capito male si chiama cecilia) per l'ottimo riassunto su crouch in particolare.. cmq bisogna sempre ricordarsi che nn è necessario essere dei geni basta la buona volontà!! complimenti e grazie sopratutto! (mi metto al lavoro anche io per riaasumere un capitolo di storia!!)
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08/01/2008 18:58

Re: COMPLIMENTI
gio18., 08/01/2008 18.51:

vorrei aggiungere i miei complimenti alla ragazza di castelfidardo (che se non ho capito male si chiama cecilia) per l'ottimo riassunto su crouch in particolare.. cmq bisogna sempre ricordarsi che nn è necessario essere dei geni basta la buona volontà!! complimenti e grazie sopratutto! (mi metto al lavoro anche io per riaasumere un capitolo di storia!!)



quoto tutto!!

per storia,sarebbe più facile se ti prenotassi nella discussione giusta! segna il capitolo ke vuoi fare (se già ce l'hai in mente), ke così ci organizziamo per bene!!

direi ke il forum sta cominciando a funzionare a dovere!! [SM=g8496] [SM=g8496]
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Rycky lo spamMod

"I video giochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se pac-man avesse influenzato la nostra generazione, staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva" (K.Wilson, Nintendo Inc,1989.)
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08/01/2008 19:00

Ricky, guarda che gio18 l'ha già scelto..ha scelto il capitolo 12, sei stato tu stesso a riscriverlo per sottolinearlo...
il bertòn
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08/01/2008 19:02

sto dando i numeri,scusate.

torno a studiare ke è meglio,scusatemi ancora.
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08/01/2008 19:05

confermo quello che ha detto "il berton"! però su sociologia nn contate di sicuro su di me.. anche perchè è meglio per voi!!!! [SM=g6804]
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08/01/2008 19:21

Cecilia la cosa migliore da fare è che tu mi dia il link o mi indichi il sito dove li hai trovati, così facile facile mettiamo quello in modo che compaia direttamente la pagina, appena me lo fai avere faccio un post sul blog.
[Modificato da il Berton 08/01/2008 19:22]
il bertòn
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08/01/2008 19:24

Re: COMPLIMENTI
gio18., 08/01/2008 18.51:

vorrei aggiungere i miei complimenti alla ragazza di castelfidardo (che se non ho capito male si chiama cecilia) per l'ottimo riassunto su crouch in particolare.. cmq bisogna sempre ricordarsi che nn è necessario essere dei geni basta la buona volontà!! complimenti e grazie sopratutto! (mi metto al lavoro anche io per riaasumere un capitolo di storia!!)





non hai capito male [SM=g6794] mi chiamo proprio cecilia...cmq figurati...è un piacere collaborare con voi tutti....sto blog mi piace sempre di più ehehe...
baciiii


Andy Warhol: I wonder if people are going to remember us?
Edie Sedgwick: What, when we're dead?
Andy Warhol: Yeah.
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08/01/2008 19:31

Cecilia perchè mi hai ignorato???Adesso mi sento triste...
il bertòn
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08/01/2008 19:36

Re:
il Berton, 08/01/2008 19.31:

Cecilia perchè mi hai ignorato???Adesso mi sento triste...



chiedo umilmente venia,ma siccome sono un pò peccia (che nel mio dialetto significa mongola)con i forum, allora mi ci vuole un pò di più per rispondere a tutti....abbi molta patience...lo sai che non ti ignorerei mai!!!! [SM=g8496]
baciiii
P.S. cmq so che in 'sta foto sembro un pò sfatta (infatti è la realtà [SM=g6794]), ma disgraziatamente non ne avevo di più piccine...
[Modificato da lacecy88 08/01/2008 19:39]
Andy Warhol: I wonder if people are going to remember us?
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08/01/2008 19:38

Ceci tesoro..però ancora non mi hai risposto...
il bertòn
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08/01/2008 19:45

infatti mi sono accorta dopo....ok sto facendo come Ricky che dà i numeri,ma non è colpa mia...sono le controindicazioni di sociologia...cmq ho modificato il msg in cui ti porgevo le mie più sentite scuse per non averti cagato tempestivamente....sorry e abbiate pietà con quest'essere immondo eheheh....baciii
Andy Warhol: I wonder if people are going to remember us?
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Andy Warhol: No no, come on. They'd say, "Edith Minturn Sedgwick: beautiful artist and actress...
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08/01/2008 20:02

Ma Cecilia, ancora il link del sito o il sito non me l'hai dato..
il bertòn
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08/01/2008 20:45

oltre ad essere rincoglionita come un'asse da stiro,sono pure cieca,bhè a dirla tutta mi ci chiamo pure....cmq il riassunto di Crouch viene da una rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale chiamata Jus Gentium,mi pare, perciò secondo me è inutile metterci il link dal momento che di norma non dovrebbero sempre trattare argomenti inerenti al nostro programma di studi....Crouch è stato un colpo di fortuna trovarcelo fatto così bene, ma non ti garantisco che ci sia altro materiale che possiamo reputare utile...cmqte lo metto se magari a qualcuno interessano approfondimenti vari di autori
www.juragentium.unifi.it/

per quanto riguarda L'insicurezza sociale invece l'ho trovato su un sito che si occupa di ogni genere di libri e il link è www.evulon.net/news.php
ripeto, non garantisco la pertinenza di ogni cosa con il nostro titolo di studi,ma può sempre servire...per qualsiasi cosa da cercare cmq io sono a vostra disposizione....come spulciatrice cibernetica me la cavicchio...
baci e scusa il rincoglionimento dà [SM=g6809]
Andy Warhol: I wonder if people are going to remember us?
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08/01/2008 22:41

Ora è tutto sul blog!
il bertòn
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09/01/2008 01:49

ringrziamo ceci la spulciatrice!! [SM=g6794] [SM=g6794]

cmq avviso tecnico:le foto le puoi anche comprimerle per metterle sul forum...per modificarle basta usare i semplici programmi di windows!! [SM=g9329]

detto questo...la foto ke hai messo su mica è brutta!! [SM=g8380] [SM=g8380]
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"I video giochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se pac-man avesse influenzato la nostra generazione, staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva" (K.Wilson, Nintendo Inc,1989.)
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